Il simbolo del drago rappresentato da più secoli nelle nostre terre, deriva dal serpente primordiale che rappresenta il caos e che viene collegato alla Dea Madre.
Solo col Cristianesimo questo simbolismo diviene l’espressione del male, in quanto non riuscendo a modificarlo o distruggerne il forte significato, si era preferito demonizzarlo.
Il Drago è sempre stato accomunato al simbolo di fecondità, di nascita e morte (inizio e fine).
Rappresentato nel medioevo dall’Ouroboros, serpente o drago che si morde la corda, motivo principalmente utilizzato nelle operazioni d’Alchimia, simbolo di trasmutazione della Materia bruta.
Esprime l’idea che la fine e l’inizio si compenetrano, fanno parte l’uno dell’altro, così che esprimono l’idea della trasformazione, dell’evoluzione, della Grande Opera Alchemica applicata sia alla materia bruta che all’Individuo.
Presso le popolazioni celtiche rappresentava la reminiscenza e la rappresentazione mentale.
Nonostante questa demonizzazione il drago lo troviamo spesso rappresentato sulle chiese cristiane, a partire dal Duomo di Milano e dal simbolo stesso dello stemma visconteo.
Nell’antica Europa, in tempi remoti, quando la cultura Celtica era ancora agli albori, il concetto di Vita era un processo continuo di interscambio fra mondo profano e mondo religioso; questo è significativo, perché ci fa capire come tutto fosse armonioso, e di come l’Uomo si rapportasse alla Natura, nella sua completezza. Tutto avveniva non in modo sentimentale, come avviene oggi, ma secondo le leggi interiori che appartengono anche al Cosmo: il microcosmo che “comunica” col macrocosmo.
Un’indagine approfondita, quindi, non può scindere i due aspetti di una tradizione così antica. Spesso, si sente parlare dei Draghi, animali misteriosi e primordiali che un po’ ci incutono timore, ma nessuno ne comprende il vero significato: anch’essi fanno parte del nostro mondo, ma operano direttamente nell’astrale bianco. Per capirne le potenzialità dobbiamo immergerci ed arrivare fino al tempo degli antichi sacerdoti; tempo che ci conduce fin quasi all’origine della civiltà conosciuta. Si racconta che in origine i Druidi, appresero la loro arte magica nelle Isole a Settentrione del Mondo. Queste isole erano situate nell’Altromondo, oltre le Acque.
Qui “… non c’è né terra, né acqua, né aria allo stato puro, ma una specie di miscuglio dei tre elementi, dove terra, acqua e aria sono mescolati come fossero tutti riuniti. L’Altromondo non è misurabile, è un eterno presente e un mondo di illusioni”. Il dio che governa queste terre è Crono (signore del Tempo); è assopito, poiché queste terre sono senza tempo. Il quinto elemento, il fuoco, non esiste ancora, e quindi “nulla può essere plasmato”. Tutto rimane inerte, in uno stato chiamato “del sogno eterno”.
L’Irlanda, la Gran Bretagna, la Scandinavia, rappresentano l’immagine terrena di queste terre, il riflesso di uno specchio gigantesco.
I Tuatha Dé Danann, popolo dell’età del Bronzo, andarono nella regione Iperborea, ad imparare la magia, le scienze, il druidismo, la saggezza e l’arte, nelle quattro città principali Falias, Gorias, Murias, Findias, ove risiedevano i quattro Druidi guardiani Morfesa, Esras, Uiscias, Semias, trasmettitori di scienza e conoscenza.
Al loro ritorno portarono quattro oggetti sacri:
Da Falias la Pietra di Fail (Lia Fail “Pietra del destino”), dell’elemento Terra
Da Gorias la Lancia di Lugh (Sleá Bua, “Lancia di vittoria”), dell’elemento Aria
Da Murias la Spada di Nuada (Claím Solais, “Spada di Luce”), dell’elemento Fuoco
Da Findias il Calderone di Dagda (Coire an Dagdae), dell’elemento Acqua.
La parte finale “as” significa “esterno”, “al di fuori”, e significa essere nel mondo senza tempo. È significativo che per giungere in queste terre, si debbano attraversare acque tempestose; queste, infatti, rappresentano l’interiorizzazione delle nostre emozioni (la Luna), e attraversarle significa andare incontro all’oblio; qui ci si deve scontrare con il “Guardiano della Soglia”, un drago minaccioso che punisce coloro che non sono ancora in grado di intraprendere questa via.
Poiché precedono la forma, le acque rappresentano la Vita nel significato più alto del termine. Si può rimanere prigionieri della corrente che trascina dove vuole. L’acqua è quell’impulso che ci porta verso il basso, in uno stato passivo, e per vincerla si deve anteporre la parte attiva del nostro fuoco che indirizza la sua Volontà (quindi la propria Individualità), verso la Forza interiore. I druidi officiavano presso i nemeton (santuario, tempio) ossia le foreste, e all’inizio di ogni rituale proferivano queste parole: “Nemora alta remotis incolitis lucis” Abitate santuari profondi, in foreste remote.
I luoghi prescelti erano centri particolarmente carichi di forza magnetica, uniti da una linea immaginaria (ma non tanto): gli omphalos. Mediolanum (Milano), che significa “centro di perfezione”, era collegata, ad esempio, a New Grange (Irlanda), Carnac (Francia), Stonehenge (Inghilterra) e a Delfi (Grecia).
I draghi della tradizione celtica rappresentano i guardiani delle nostre potenzialità, e di quello che abbiamo “ereditato” da lontano. Questi ci permettono di avere una chiave in più per conoscere noi stessi. Sono lo specchio del nostro Cosmo interiore e rappresentano i “guardiani dei Templi”:
Questi Draghi sono a guardia dei loro tesori, e riuscire a vincerli, significa compiere la propria trasmutazione, la via palingenetica che porta all’equilibrio interiore. Compiere questo cammino è pericoloso, se non si è più che preparati. Vi sono 3 stadi principali (secondo gli antichi sacerdoti), che l’individuo deve superare durante il proprio cammino palingenetico:
1. Fase di regressione o morte iniziatica, durante la quale ci si spoglia di tutti gli stereotipi della vita moderna, per apprendere le arti druidiche.
2. Fase di rinascita, durante la quale ci si appropria delle conoscenze degli Avi. I Totem ci guidano alla contemplazione della Natura.
3. Fase della rivelazione, durante la quale si completa la formazione iniziatica per procedere lungo il cammino palingenetico. I Draghi ci aiutano ad attraversarli, a patto che siano gli Uomini a volerlo, a porre la propria Volontà (superiore) al servizio del divino che risiede in ogni dove.
I quattro animali primordiali, a differenza dei draghi, rappresentano le ere terrestri e l’involuzione dell’Essere Umano, verso la materia. Anche se molti sono convinti del fatto che discendiamo dalla scimmia, la mitologia e le tradizioni di tutti i popoli della Terra, confermano il fatto che l’Uomo Primordiale, era in origine un dio, e che a seguito della sua discesa in terra, ha subito delle metamorfosi. Tutti parlano di sfere di pura energia, e le scimmie sono soltanto il tentativo, grossolano, di materializzazione di queste forze. Nel ciclo mitologico d’Irlanda, presente nel “Lebor Gabala Eireann”, si fa menzione di quattro stirpi di dei e semidei, che furono i fautori di queste ere. L’Uomo, in queste fasi, subisce delle “trasformazioni” simboleggiate dai Totem, da quelle forze rese manifeste e disposte al suo servizio.
La Materia manifesta va alla scoperta e alla conquista della terra. Si cerca di ritornare alla fonte, risalendo la spirale dei tempi, verso un ciclo anteriore ma ad un grado più elevato. Secondo la legge dell’evoluzione. Dopo i Milesi (figli di Mile), giunge in Irlanda S. Patrizio, l’indovino, il quale deve ritornare “a casa”, verso la fonte originaria, memore di tutte le sue esperienze fatte nelle precedenti ere.
Le strade percorse da millenni dai nostri antenati, sono rese oggi più difficili dalla nostra lenta ma inesorabile involuzione verso la materia. Questo non significa, però, che il nostro sia un cammino impossibile, anzi, possiamo affermare con assoluta certezza, che i tempi odierni vedono un campo più proficuo per ripercorrere le “strade dei Padri”, ricchi delle nostre esperienze passate: è un processo, anche questo, lento che però ci da la possibilità di ritornare “alla Casa del Padre”. Dobbiamo faticare maggiormente, rispetto alle altre ere, ma altrettanto maggiori saranno i risultati che otterremo.
L’ENERGIA del DRAGO
Il drago (o dragone) è una creatura diffusa in moltissime mitologie e culture; la rappresentazione più diffusa in Occidente, sviluppatasi soprattutto nell’iconografia medievale, è quella del rettile coperto di scaglie, con lungo collo e lunga coda, ali di pipistrello e possenti fauci dalle quali la bestia è in grado di sputare getti di fuoco.
I draghi sono tuttavia mostri molto più antichi, si ritrovano ad es. presso gli antichi Egizi, i Sumeri e i Greci (Ercole nella “seconda fatica” affronta l’idra di Lerna www.edicolaweb.net/luci024a.htm).
Il simbolo del drago ha un fortissimo impatto sulla psiche; suscita paure ancestrali (forse ricordo filogenetico dell’epoca dei dinosauri) ma anche fascino ed ammirazione, a livello esoterico racchiude la simbologia dei piani di potenze, sia nel loro aspetto distruttivo che in quello di potenzialità da trasformare e padroneggiare per metterle al servizio della coscienza.
In Europa la figura del drago è di solito connessa al ruolo del divoratore – spesso con sacrifici umani – e del guardiano o custode di qualche tesoro, ruolo questo, che si accentua soprattutto nell’epoca cavalleresca, dove l’eroe che uccide il drago solitamente salva qualche donzella o qualche popolazione oppressa e si appropria del tesoro custodito.
Nel simbolismo cristiano i draghi sono spesso considerate creature del diavolo ( “drago rosso” o “antico serpente”), diventando simbolo e incarnazione del male da abbattere, come fanno appunto San Giorgio e San Michele Arcangelo; eppure anche nel Cristianesimo esiste un’accezione positiva per i draghi i Serafini sono detti “draghi alati” o “serpenti fiammeggianti”.
Il drago compartecipa dei quattro elementi: può essere creatura terrestre o sotterranea (ctonia), acquatica, aerea ed è certamente connessa al fuoco.
Come riportato nell’interessante articolo di Franco Cardini su www.airesis.net/IlGiardinoDeiMagi/Giardino%201/cardini_drago_5.htm:
“Ciascuno di noi ha il suo drago da abbattere: per questo il Drachenkampf (lett. “battaglia con il drago”), la vittoria su se stessi e sulle pulsioni più abbiette dell’io, diviene un momento centrale del “processo d’individuazione” proposto da Carl Gustav Jung. Tale battaglia, volta alla conquista del tesoro che sta nel fondo di noi stessi, è però, appunto perché tale, una iniziazione. Nella Sigurdhsaga, per questo, il cuore e il sangue del drago Fafnir, ingeriti dal vincitore Sigurdh, gli daranno il dono di intendere il linguaggio degli uccelli: (N.d.R. da notare che nella Tradizione spesso gli uccelli sono associati agli iniziati) cioè gli procureranno la sapienza che deriva dalla vittoria su se stessi e sulla parte più oscura e ferina di sé. Mostro ma anche maestro, il drago si sacrifica rivelando al suo uccisore – che perciò è anche suo allievo, e quindi, ritualmente, suo figlio – il segreto profondo dell’ essere. L’iniziazione termina con la morte dell’iniziatore e con il suo rivivere – attraverso l’ingestione del cuore e del sangue – nell’iniziato. E l’eroe sa bene che affrontare il “suo” drago significa guerreggiare con se stesso,, suicidarsi come uomo vecchio per risorgere come Uomo Nuovo.”
IL DRAGO CINESE è un animale con precisi attributi divini: capace di chiamare il vento e la pioggia, di controllare le forze naturali, è un assistente in battaglia ed il mezzo di trasporto degli abitanti del cielo (“Il drago era il re di tutte le creature ricoperte da squame, saliva al cielo nell’equinozio di primavera e discendeva verso l’abisso profondo nell’equinozio d’autunno”). Assieme alla tigre bianca, alla fenice rossa, e alla tartaruga nera, il drago (verde) era considerato simbolo di fortuna e prosperità, guardiano della direzione dell’Ovest. A partire dal III-II sec. a.C. assunse per lo più il significato di antenato del clan dominante e quindi simbolo del potere imperiale.
Il drago imperiale tradizionale, detto long, è un enorme sauro dalla testa cornuta (leonina) con lunghi baffi, dal corpo agile, squamoso e munito di quattro zampe dotate ciascuna di cinque artigli possenti; tale creatura era in grado di dominare gli elementi ostili allo sviluppo della vita e per questo protettrice della vita stessa.
Draghi celesti (imperiali): di colore verde molto chiaro, erano a guardia del cielo ed erano gli unici ad avere 5 artigli per zampa;
Draghi spirituali: di colore azzurro, erano i più venerati in quanto guardiani del vento, delle nuvole e dell’acqua, e quindi da loro dipendeva il raccolto dei contadini;
Draghi terrestri: di colore verde smeraldo, erano i guardiani dei corsi d’acqua, regolandone il flusso e vivendo nelle profondità dei fiumi;
Draghi sotterranei: di colore dorato, erano i custodi di grandi ed immensi tesori e dispensatori di felicità eterna;
Draghi rossi e Draghi neri: creature violente e bellicose, che si scontravano continuamente nell’aria causando con la loro energia violente tempeste.
Per approfondire: www.drawol.it/Htm/leg-greche.htm
Il simbolismo e la mitologia del drago: tutto quello che avreste voluto sapere sui draghi e non avete mai osato chiedere
Caratteristiche del drago orientale
In Cina il drago più diffuso e potente si chiama lung ed è il prototipo dei draghi orientali. Oltre a esso esistono altri tipi minori di draghi: il li, un drago senza dimora che vive sul l’oceano; il chioo, che vive nelle paludi ma ha la tana sulle ì montagne; il Drago del Tuono, che sembra fatto di ossidiana e può trasformarsi in un bimbo dalla pelle azzurro chiaro a cavallo di una carpa rossa. Il t’oo t’ieh, che ha una testa e due zampe anteriori, ma due corpi, con zampe posteriori e code separate; personifica l’ingordigia e viene di pinto sui piatti per scoraggiarla. Anche di lung esistono diversi tipi, tutti riuniti in un impero di draghi, alla cui reggenza stanno i Re Draghi, con compiti dirigenziali diversi: il Tien Lung, il Drago Celeste, protegge le dimore degli dei e regge il cielo; lo Shen Lung, il Drago Spirituale, genera e controlla per gli uomini il vento e la pioggia; il Ti Lung, il Drago della Terra, controlla i fiumi e le acque; lo Hsien Lung, il Drago della Pioggia vero e proprio; il Fu Ts’an Lung, il Drago del Mondo Sotterraneo, conosciuto anche come il “Guardiano dei tesori occulti”, che fa appunto la guardia a gemme e metalli preziosi e regna sul sottosuolo. Qualche racconto cita anche il Pan Lung, che è il guardiano di luoghi nascosti. A questi si aggiungono il Drago Spiraliforme e il nobile Drago Giallo; nato dal fiume Lo, esso simboleggia il leggendario imperatore Fu Hsi, cui avrebbe suggerito, emergendo improvvisamente dalle acque del mare, gli elementi della scrittura, nonché gli otto trigrammi basilari che composero l’antico libro I-Ching. Esiste poi un drago che è conosciuto specificamente con il nome di “Re dei Draghi” ed è composto da quattro draghi minori, ciascuno dei quali domina un mare: il mare settentrionale, il meridionale, l’orientale e l’occidentale.
Tuttavia il dispensatore di tempeste oceaniche è un drago a sé stante, il Tun Mi Lung. Draghi diversi controllano pure quattro diversi fiumi, posti anch’essi ai quattro punti cardinali e a volte identificati coi quattro mari. Il comandante di tutti i draghi dei fiumi è il grande Chien Tang, che è color rosso sangue, ha una criniera fiammeggiante, ed è lungo decine di chilometri. Ogni drago appartenente alla gerarchia dei cieli deve recarsi una volta all ‘anno al Palazzo Celeste per rendere conto della propria attività e degli eventi dell’anno passato, a seconda
del proprio compito. Appositi censori, allora, distribuiranno premi e punizioni e, nel caso in cui qualcuno venga licenziato e rimpiazzato, si segnala il nuovo assunto agli uomini tramite sogni, al che essi devono festeggiarlo. Neppure gli esseri umani, infatti, possono ignorare questa burocrazia e a seconda dei casi e delle gerenze vi saranno preghiere specifiche per il drago specifico.
A questo proposito, quando uno di essi è irato, per placarlo la gente usa appendere fuori dalle porte di casa fogli gialli con la sua immagine. Esiste infine una differenza importante nella rappresentazione dei draghi orientali, tra quelli a cinque, a quattro e a tre artigli. Sul numero di artigli si assiste a un curioso fenomeno campanilistico: secondo i cinesi i draghi nascono in Cina con cinque artigli, poi man mano che si spostano ne perdono uno: quando arrivano in Corea hanno quattro dita e in Giappone tre. I giapponesi, però, ribaltano il percorso, sostenendo che i draghi nascono nella loro terra con tre artigli, poi man mano che si spostano ne acquistano uno.
Il drago orientale ha un corpo serpentiforme molto allungato, con quattro arti e un’ossatura sottile. Come le leggende occidentali, anche l’iconografia orientale – ampiamente rappresentata in testi come il San Ts’oi T’ui Hui, del XVII secolo (dinastia Ming) – illustra il drago con attributi di animali differenti: corpo di serpente, scaglie di carpa, testa di cammello(o di mucca), corna di cervo, occhi di coniglio, orecchie di toro, lungo collo come un’iguana, addome di rana, tozze zampe di tigre e artigli d’aquila. Nella maggior parte dei casi una criniera leonina ricopre il collo, il mento e i gomiti. La grande bocca è affiancata da due lunghe vibrisse, che servono al drago anche per trovare la via sui fondali fangosi. Il corpo del drago – i cui colori variano dal verde, al blu al nero, al bianco, al rosso e al gial loor- è ricoperto da 117 scaglie, 81 infuse di energia yang e 36 di yin, che palesano la tempra dell’animale. Infatti il drago è simbolo dello yang e quindi della virilità. Il benefico equilibrio con l’elemento yin è assicurato dall’associazione con la tigre, con cui rappresenta pure la coppia cielo-terra. Accoppiato invece con la fenice, motivo assai ricorrente in Asia, il drago è anche simbolo di prosperità e lunga vita.
I draghi orientali vengono di solito rappresentati con una perla infuocata tenuta tra gli artigli, tra le fauci o sotto il mento, in una piega della gola. Apparentemente è il posto da cui il drago, soprattutto quello maschio – che per i cinesi è il più diffuso – trae la sua saggezza e il suo potere. La capacità di volare è invece dovuta generalmente al ch’ih muh, una protuberanza a mo’ di vescicaposta sull’apice del capo. A parte casi eccezionali, infatti, il drago orientale non è dotato di ali, anche se queste possono spuntare tardivamente nei lung molto anziani. I draghi vengono avvistati raramente perché, oltre alla capacità di scomparire in un lampo e di variare le proprie dimensioni a piacere, saggiamente i nascondono in caverne montuose o sui fondali acquatici più profondi, dove riposano soprattutto nelle stagioni fredde; quando fa caldo, infatti, amano volare nel cielo.
Ciclo di vita del drago
I draghi orientali depongono le loro uova sulle rive di torrenti montani, fiumi o laghi; in genere occorre un migliaio di anni perché un uovo si dischiuda e l’avvenimento è sempre accompagnato da un temporale. Quando la prima crepa appare in un uovo, entrambi i genitori prorompono in alte grida; il grido del padre suscita i venti, mentre quello della madre li calma. Ecco così, ancora una volta, l’equilibrio di yin e yang. Ma quando l’uovo si schiude completamente e il cucciolo nasce, tempeste violente scuotono la terra. Anche la piena maturazione di un drago è una quest ione lunga, che richiede più di tremila anni, attraverso varie fasi: dapprima il piccolo ha l’aspetto di un serpente d’acqua, poi in cinquant’anni sviluppa una testa di carpa, diventando un Kiao. Nel corso dei mille anni seguenti diviene sempre più simile a un pesce: ora è grande come una carpa, ma la sua fisionomia è quella di un drago; ha quattro piccoli arti, una lunga coda’, la barba e quattro artigli per ogni zampa; possiede delle orecchie ma è sordo e si chiama Kiao Lung. In altri cinquecento anni si sviluppano le corna, che gli servono per espletare una funzione
che è riconducibile all’udito, e prende il nome di Kioh Lung, il drago più comune. Dopo altri mille anni arriveranno le ali e la creatura si chiamerà Ying Lung. Secondo le leggende, la femmina di drago dà generalmente alla luce nove figli(numero mistico importante per l’Oriente)annidiata, ognuno con caratteristi che e personalità specifiche, le quali ispiranole diverse rappresentazioni. Non c’è accordo sui i loro nomi, ma secondo la maggior parte delle testimonianze sui cornicioni dei palazzi troviamo il temerario, avventuroso Hao Hsien, che adora arrampicarsi; spesso si nota l’immagine di un drago anche sui frontespizi dei tempii, perché si dice che questi animali siano sempre all’erta. Parimenti vengono poste immagini di draghi sui pinnacoli, soprattutto nella forma del fratello Chi Wen, che si diletta a contemplare le distanze. Sulle porte troviamo il drago Jiao Tu, dalle labbra strette come le valve di un mitilo, mentre sui moli e sulle arcate dei ponti, sebbene tutti i draghi adorino l’acqua, appare più comunemente Pa Hsia, che è un ottimo nuotatore. Il ritratto di Suan Mi, appassionato di fumo e fuoco, sta sulle gambe dei bruciatori d’incenso, là dove suo fratello Pi Hsi, robusto animale da soma, adorna le gerle e regge le basi dei monumenti. Sulle impugnature di spade e coltelli appare Ya Tzu, valente e bellicoso guerriero, mentre Pu Lao, amante dei suoni e forte urlatore quando attaccato, è rappresentato sulle campane, e l’appassionato di musica Chiu Niu sugli strumenti musicali a corda. Infine troviamo figure di draghi sulle tavole di pietra e sui libri, perché amano la letteratura e lo studio; sui cancelli delle prigioni, perché li intrigano le liti e i guai, e sul trono di Budda, per la loro propensione al riposo.
I figli umani del drago: gli imperatori
Oltre alla normale figliata, un drago – sia femmina che maschio – può accoppiarsi con un essere umano, allorché nascono uomini destinati a diventare re. I sovrani di molti paesi asiatici proclamarono di avere antenati draghi e uno degli appellativi con cui amavano essere chiamati era “faccia di drago”. Altri sovrani si limitarono a eleggere i draghi loro protettori e si deve alla Cina, con la figura del “drago imperiale”, la visione dell’animale come simbolo del potere regale. L’onore figliò la superbia e una legge statale stabilì che solo l’imperatore e il suo seguito potevano servirsi dell’immagine del drago a cinque artigli, di solito di colore giallo.
Poiché il drago cinese era incommensurabilmente saggio e si faceva benefico dispensatore celestiale di pioggia, esso poteva assurgere a metafora ideale dell’imperatore meritevole, il cui mandato divino, come mediatore tra cielo e terra, doveva assicurare il benessere dei sudditi. Il grande potere del drago poteva
essere trasmesso al popolo dal buon governo del sovrano. L’avvistamento di un drago era per lui cosa assai gradita, perché rappresentava il messaggio del Cielo al popolo, con cui gli si rendeva noto che il suo regnante stava facendo un buon lavoro.
Molte leggende sorsero sui rapporti tra imperatori e draghi, tanto che la gente prese a pensare che i primi avessero la capacità di mutare se stessi nei secondi. Eppure, nonostante questa grande considerazione che giunge alla venerazione, si esplica qui una delle apparenti contraddizionidella cultura estremo-orientale: anche tra gli asiatici si celarono assassini di draghi, mossi al dissacrante massacro nel nome dell’avida appropriazione del loro potere. Il sangue, il grasso, il cervello, la saliva, i denti e le corna del drago sono infatti considerati dai cinesi medicine miracolose, usate per curare di tutto.
Questa “dracofagia” ricorre anche nelle leggende europee, dalle quali ‘si deduce che mangiare il cuore di un drago dà al consumatore la capacità di capire gli uccelli, la lingua del drago rende in grado di vincere ogni disputa verbale, mentre spalmare del sangue di drago sulla pelle protegge contro le fe rite, In generale, è proprio al sangue di drago che vengono attribuiti i poteri più ampi ed efficaci, Per i cinesi, i rimedi migliori sono ritenute le ossa, che peraltro sembrano piuttosto facili da trovare. Fino al 1927, infatti, interi villaggi cinesi simantenevano rinvenendole nel corso di scavi e vendendole. Quando una delegazione dell’American Museum of Natural History giunse in Cina per condurre indagini su queste voci, trovò con enorme disappunto interi magazzini colmi di quelli che per loro erano fossili di animalipreistorici, Gli scienziati americani ne acquistarono in gran quantità, donandone una parte al museo di Pechino e riservandone un’altra al museo di New York. Dopo questo episodio, la vendita di “ossa di drago” venne proibita, ma continua tuttora sul mercato nero. Anche la saliva dei draghi, che galleggia sulla superficie dei mari, è ottima per incidere l’oro e la giada e può concorrere alla produzione di ottimi profumi e incensi. In più, si dice che la carne di drago sia una vera prelibatezza, tanto che l’imperatore Huo è famoso per aver fatto cucinare un drago caduto sul suo palazzo durante una tempesta.
Nel segno del drago: il drago secondo l’oroscopo cinese
Poiché nell’oroscopo cinese esistono dodici segni zodiacali rappresentati ciascuno
da un animale e ciascuno associato a un anno di nascita, l’anno del drago ha luogo ogni dodici anni. In più, ciascun animale astrologico si associa a uno dei cinque elementi che per la cosmogonia cinese costituiscono simbolicamente l’universo.
Esisterà quindi un drago di metallo, uno di acqua, uno di legno, uno di fuoco e un drago di terra. L’anno conosciuto nel calendario cristiano con la data del 2000 è rappresentato nell’oroscopo cinese dal drago di metallo (chin lung). L’ultimo anno del drago di metallo è stato dunque nel 1940. Quello del drago è un anno fortunato,tuttavia per godere appieno dei suoi vantaggi si consiglia di prendere le cose con calma e pazienza, stando attenti alla propria salute. Il drago di metallo è quello dalla volontà più forte: inflessibile, ostinato e combattivo, anche a costo di ignorare i sentimenti altrui. È inutile cercare di convincerlo che una cosa non si può fare e se non riesce a ottenere appoggio, farà da solo. Del resto è portato al successo proprio perché rifiuta di accettare il fallimento. Una simile assenza di regole può favorirgli rapide scalate a posizioni di autorità, ma spesso a costo di distruggere relazioni importanti. Un vecchio manuale d’astrologia riporta:
«Le persone nate nell’anno del drago hanno ricevuto i doni della salute, dell’energia, del coraggio e dell’intelligenza. Parlano con sincerità e sono oneste. Il drago rappresenta il Più grande potere celestiale e, insieme alla tigre, ha l’influenza più benefica in senso astrologico. Simboleggiando la vita e la crescita, si dice che il drago conferisco le seguenti quattro benedizioni: virtù, ricchezza, armonia e longevità. Di tutti i segni, questo è il più eccentrico. Le persone del drago sono lavoratori eccezionali, ma a volte si prodigano per il male piuttosto che per il bene. I draghi sono sensibili all’adulazione, Collerici, eccitabili ed enormemente caparbi, evitano spesso il matrimonio, per affrontare in solitudine la vecchiaia».
Il segno del drago ha ottime relazioni con quello del topo, della scimmia e a volte del serpente, pessime col segno del cane.
Ancora oggi i draghi vengono mostrati in parate per celebrare il capodanno cinese, dal momento che l’immagine dell’animale impedisce agli spiriti maligni di infestare il nuovo anno. Si tratta di una delle manifestazioni più gioiose dell’ancestrale rapporto tra uomini e draghi, e anche se il drago non fu altro che un parto dell’uomo e della sua immaginazione, senza dubbio dobbiamo dare ragione ai popoli asiatici che se ne definirono figli, perché il drago si fece padre delle paure e delle istanze, delle forze e delle fantasie degli uomini, si fece loro simbolo, nel bene e nel male. Un velo di mistero ha sempre avvolto i draghi e sempre li avvgerà, ma non smetteremo mai di cercarli e di rappresentarli, perché i miti non sono che frammenti della vita interiore dell’uomo antico e in qualche modo conoscere il drago vuoi dire conoscere l’uomo.
Gli anni lunari del drago secondo l’oroscopo cinese:
8 gennaio 1940 – 26 gennaio 1941
27 gennaio 1952 – 13 febbraio 1953
I 3 febbraio I 964 – I febbraio 1965
31 gennaio 1976 – 17 febbraio 1977
17 febbraio 1988 – 5 febbraio 1989
5 febbraio 2000 – 24 gennaio 2001
I draghi del Nuovo Mondo: Quezalcoatl
La figura del serpente alato, che può ricordare alcune razze di draghi, è di
importanza capitale nei miti dell’America Centrale del periodo precolombiano.
La nota divinità Quetzal ha influenzato probabilmente il dio alato messicano Amphitere. Proprio in Messico, a La Venta, capitale degli Olmechi, un popolo di astronomi che abitava il Messico 3500 anni fa, è stata trovata una scultura di un serpente piumato; i miti autoctoni lo citano come divinità e lo pongono a fianco di uomini sapienti dalla pelle chiara, che si abbigliavano proprio come serpenti ricoperti di piume e che sarebbero giunti in Messico su grandi navi senza remi. Questi misteriosi individui dai tratti caucasici sono stati rappresentati a La Venta in venti grandi sculture. Presso i popoli dell’America Centrale il serpente piumato è visto come portatore di civiltà, maestro di astronomia e architettura. Ecco che secondo le leggende maya il dio serpente portò in Messico l’arte delle piramidi e, queste stesse leggende descrivono le piramidi come strumenti per trasformare l’anima dopo la morte, con vaghe correlazioni con l’Egitto. Proprio in Egitto, infatti, è stata trovata la rappresentazione di un’anima umana che riposa su un serpente piumato e negli antichi miti locali il drago Apep governava il mondo delle tenebre.
Anche i draghi ascoltavano la predicazione del Budda
Nel dodicesimo capitolo del Sutra del Loto viene descritto un evento eccezionale: il bodhisattva Manjushri racconta di aver predicato nel palazzo del re dei naga, sul fondo del mare, e che Sagara, la figlia del re drago, in seguito all’apprendimento degli insegnamenti del Budda, ha ottenuto l’illuminazione. I naga, ovvero i draghi, venerati nell’antica religione popolare indiana, erano una delle otto categorie di esseri non umani che proteggevano il Buddismo. L’evento descritto in questo testo è particolarmente eccezionale: Sagara, oltre a essere di sesso femminile, ha appena otto anni.
È la prima volta che nelle scritture buddiste viene menzionata la possibilità di ottenere l’illuminazione “così come si è”, senza dover praticare le austerità vita dopo vita, per eoni. Il fatto è particolarmente eclatante, perché Sagara, oltre ad appartenere a una razza animale, è di sesso femminile: fino ad allora si credeva che una donna non potesse ottenere direttamente l’illuminazione, ma dovesse prima rinascere come uomo.
Secondo la tradizione del Buddismo Mahayana, il Sutra del Loto, le cui prime redazioni giunte sino a noi risalgono al 255 d.C. venne predicato negli ultimi otto anni della vita del Budda Gautama Siddharta Shakyamuni, vissuto intorno al VI-V secolo a.C. e, insieme al Sutra degli Infiniti Significati e al Sutra del Nirvana, rappresenta la summa dei suoi insegnamenti.
Nel 2000 l’astrologia cinese celebrò l’anno del Drago di Metallo. Quell’anno la rivista Arti d’Oriente gli dedicò un articolo per ripercorrerne la simbologia e la leggenda, curato da Saverio G. Lungrich-Stift. Spero di fare cosa gradita ripropronendolo a chi non ha avuto occasione di leggerlo. Buona lettura.
“Quando il drago ruggisce i monti tremano, quando il drago sussurra il saggio ascolta”
Proverbio cinese
“Quando una tigre ruggisce, soffiano i venti della tempesta,
quando un drago canta, le nubi si radunano.
Il verso di una lepre o il raglio di un asino
non hanno invece alcun effetto sul vento e sulle nubi”.
Nichiren Daishonin (monaco buddista giapponese, 1222-1282)
Il colpo poderoso della coda di un drago spazza via il decrepito millennio, mentre i suoi occhi acuti illuminano brillanti le nebbie del futuro. Il 5 febbraio 2000, infatti, è in iziato per la Cina l’anno del dragone di metallo, che si concluderà il 24 gennaio 2001. Si tratta di un evento denso di significato per l’Estremo Oriente, per l’importanza preminente che la figura del drago riveste in ogni aspetto della cultura orientale. Tanto che i draghi orientali hanno la mitologia più registrata al mondo. In realtà. i draghi popolano da migliaia di anni le leggende di ogni parte della terra, il che ne fa delle figure mitologiche degne non solo del massimo rispetto, ma anche di grande interesse. Il drago, figura archetipa del mondo e della sua creatura più fantasiosa, l’uomo.
La natura ha dotato l’essere umano di un sistema nervoso che gli consente una ricchissima elaborazione della realtà che crede percepita oggettivamente, sino a creare al suo interno un infin ito mondo parallelo di rappresentazioni fantasmatiche. Gli intellettuali sono stati pertanto indotti a credere che il mito poggi su una base di realtà. E il drago è un mito diffusissimo, caratterizzato da tratti costanti. Anche gli adstrati testimoniano quest’ampia diffusione omogenea, dal greco drakon – che indica con rilevanza filologica un serpente – al latino draco, al francese antico dragon, all’inglese medioevale drago(u)n. Ma se l’opinione comune generale, in Oriente come in Occidente, è che i draghi non siano creature reali, un gran numero di persone non ne esclude un’esistenza passata, magari proprio sotto forme zoologicamente più accettabili e meno fantasiose di quelle immortalate dall’iconografia. A questo proposito le teorie dilettantesche, alla pari delle fantasie puerili che ne sono alla base, possono suggerire numerose proposte. Una delle più comuni è l’identificazione con specie di dinosauri. In realtà lo stato attuale della scienza paleontologica ci informa che passarono quasi cento milioni di anni dalla scomparsa dei dinosauri, nel periodo cretaceo del l’era mesozoica, alla comparsa dei primi ominidi bipedi, circa sette milioni di anni or sono. Oppure qualche dinosauro sopravvisse ai cataclismi che segnarono la terra nella preistoria e che uccisero i suoi compagni? Allora, se di derivazione da sauri preistorici bisogna parlare, non sarebbe più realistico supporre che gli antichi videro scheletri interi e ben conservati di dinosauri, i quali influenzarono massicciamente la loro immaginazione? Tra l’altro, in cinese la parola per dinosauro è kung lung, cioè “drago terrorizzante”. L’immaginazione dell’uomo contemporaneo, del resto, segue sentieri paralleli, nella facilità di paragonare la figura del drago a quella di antenati di rettili, mammiferi o uccelli attuali, come iguanodonti, stegosauri, anchilosauri,teropodi e gli straordinari pterosauri. Allo stesso modo, ancora oggi non sono pochi gli animali che possono ricordare un drago: dalle iguane, ai draghi di Komodo, finanche alle libellule, che del resto nel giurassico erano grandi come uccelli di taglia media. Non dimentichiamo infatti che in base a un’analisi del mito draconiano sarebbe più verosimile pensare ai draghi come ad animali di piccole dimensioni, tra il mezzo metro e i tre metri. Altre ipotesi pongono in campo teorie vaghe sviluppatesi dall’evoluzionismo di matrice darwinista, spiegando la creatura drago come un arcano prodotto dell’evoluzione di rettili primitivi, gli stessi che secondo rami di sviluppo differenti diedero vita a dinosauri, a mammiferi e ad altri rettili più evoluti. Oppure il drago potrebbe essere, nell’evoluzione successiva della materia vivente, una mutazione di passaggio tra i dinosauri e i mammiferi, come accadde realmente a rettili che possedevano alcune proprietà dei mammiferi e che in effetti possono ricordare dei draghi.
Il simbolo del drago
In ultima analisi, qualunque realtà sia all’origine del mito del drago, ai più apparirà senza dubbio più realistico dire che il mito si basa sempre su un’istanza umana, una necessità di produzione della mente. Va da sé, dunque, che la mitopoiesi sia un veicolo d’elezione – e da ciò parte del suo grande fascino – per lo studio e la comprensione dell’uomo stesso. E poiché la simbologia del drago ha permesso di compensare più di una istanza dell’essere umano, il drago si fa mezzo di conoscenza dell’uomo. A livello simbolico, più ancora che nei tratti somatici e leggendari, si pone una divisione macroscopica tra le due maggiori famiglie di draghi, quella orientale e quella occidentale. Vieppiù, non tanto nel simbolismo,quanto nel modo del l’uomo di rapportarsi a esso nelle due diverse aree culturali. Il simbolismo del drago in sé ha infatti numerosi e rilevanti tratti in comune tra i due emisferi: primitivamente i draghi erano ovunque associati alla padronanza delle potenti forze primordiali della “Grande Madre Terra”,impersonando le quali essi potevano farsi sia creatori che distruttori, detentori di un controllo sul destino dell’umanità. Energie caotiche al di fuori del controllo – quando non addirittura della comprensione – dell’uomo, il quale le vede manifestarsi con un senso di enorme meraviglia e spesso di grande timore reverenziale. Un esempio pressoché ubiquo è rappresentato dall’attribuzione ai draghi del controllo delle forze violente delle acque nelle loro varie forme. Non solo l’Estremo Oriente, ma anche l’Africa e l’Europa possiedono leggende sotto questo segno; tra gli esempi più celebri il fiume III in Tirolo, che era personificato da un drago e il fiume Rodano in Provenza, dove viveva la femmina di drago La Tarasque, che fu uccisa da santa Marta con una croce e dell’acqua santa. Neppure è un caso che i draghi, alla pari di altre creature dai tratti fantastici, popolino sempre luoghi inaccessibili – cioè non facilmente esplorabili dall’uomo e quindi misteriosi – come il fondo dei mari o dei laghi, il cielo, o remoti antri montani. Lì possono trovare dimora le paure degli uomini, collocate nell’ignoto. Il mistero è anche qui, come altrove, una ch iave per capire vari collegamenti tra miti e corrispettivi spunti mitopoietici. Ma proprio qui si può ravvisare il sorgere di una consueta differenza di approccio allo stesso simbolo tra Oriente e Occidente: in Oriente l’uomo sceglieva di conciliarsi, integrarsi e finanche sottoporsi, adorandole, alle sopraccitate potenze cosmiche selvagge; e allora ecco i riti e le usanze per compiacere il drago, cioè, alla fine, la natura e suscitarne le manifestazioni utili, bandendo quelle dannose. In Occidente, invece, si ergeva a loro dominatore e regolatore: l’uomo regolato del cosmo antropocentrico che doveva porre rimedio al caos primigenio. Ne deriva che in Occidente il drago è visto per lo più negativamente, mentre in Oriente può provocare manifestazioni sia benigne che maligne, che neppure vengono pensate con questi attributi, ma solo come aspetti diversi della natura, senza un giudizio etico.
A ogni modo, il drago – creatura carnale o simbolica – si associa nella maggior parte dei casi a paure innate e predisposte. Il fatto che nell’aneddotica occidentale il giovane dovesse uccidere un drago come rito d’iniziazione può essere forse letto come il superamento delle sue paure di bimbo o di essere umano in formazione per diventare un adulto forte, con l’esempio di prodi del calibro di Beowulf e, attraverso la mirabile prodezza, ottenere il riconoscimento del valore vi rile, necessario all’accettazione sociale con la stima e l’ammirazione del gruppo. Il drago come rito individuale e sociale di passaggio all’età adulta, dunque. Inoltre, poiché il drago è una creatura di grande potenza, spesso affrontabi le solo da un’altra creatura mitologica, come un gigante o un eroe, si muta in una icona importante e ambita per mettere in risalto l’abilità almeno altrettanto straordinaria di un uomo. Così il drago diventa per gli eroi occidentali prova e premio supremi, quindi ricettacolo di aggressività. Ecco che i draghi diventano in molte culture – tra cui quelle indiana, greca e mediorientale – maligni e crudeli. Parallelamente troviamo in quelle stesse culture il mito del cavaliere e dell’eroe che uccide il drago, tanto che persino la leggenda di san Giorgio, martire cattolico che assurge a modello più noto di mito occidentale del drago, si richiama a esso, permettendoci un collegamento ideale tra Oriente e Occidente. Infatti si pensa che il santo vissuto nel III secolo morì aLydda, in Palestina (l’attuale città israeliana di Lod), e secondo la sua biografia narrata nel 1265 da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea, Giorgio salvò la figlia di un re libico da un drago. Ebbene, dalla storia di san Giorgio emergono interessanti richiami al mito greco di Perseo, che salva Andromeda da un mostro marino proprio presso Lydda. E a sua volta la storia di Perseo, come quelle di moltissimi altri cavalieri che salvano donzelle dalle fauci del draghi, presenta un canovaccio diffuso. In Occidente, dunque, è lunga la tradizione che vede il drago come essere malvagio e identificato con forze malefiche. E se non si deve al cristianesimo l’invenzione della sua uccisione – quanto piuttosto a un travisamento di precedenti culti animistici – è vero che di tale tradizione, come di altri miti e simboli di credenze precedenti, il cristianesimo si appropriò in maniera massiva ed efficiente.
Le teorie cristiane presero a considerare il drago come esacerbazioni dell’inferno, aggiungendo storie in cui il diavolo appariva sotto le spoglie di un drago (nei ceppi linguistici slavi la radice glottologica per le due parole è la stessa). Su quest’onda, nella letteratura rinascimentale i cavalieri, epigoni di san Giorgio e rappresentanti della purezza e del coraggio uccidono i draghi, simbolo del male. Per questi cavalieri c’era comunque in gioco una ricompensa ben più materiale: in Europa uccidere un drago significava appropriarsi degli immensi tesori che esso custodiva nella sua tana. Anche questo, però, è passibile di metafora, perché in Occidente il tesoro custodito dal drago è l’oro dell’anima, che giace nel caos primordiale delle energie, colto dallo sforzo eroico che si fa anche sforzo umano di ordinare il cosmo. Di conseguenza gli eroi ammazzadraghi sono individui con il coraggio e le risorse per cercare di redimere in se stessi quegli elementi psicologici che impediscono l’illuminazione. E l’amata donzella da salvare dalle grinfie del drago è in termine junghiano l’ “anima”: l’aspetto femminile yin dormiente di ogni mente mascolina yang.
Draghi europei
Il drago agli albori della scienza
Una nuova diatesi, di stampo moderno, si sarebbe frapposta tra Oriente e Occidente con il cammino della storia, nelle epoche in cui in Europa si produsse la lenta conversione dall’antico rapporto con la natura mediata dal mito archetipo a uno filtrato da e ricercato nell’analisi scientifica. La mentalità generale delle culture meno tecnologiche mantenne invece i valori densi di significato del portato simbolico e rappresentativo dei miti: per loro l’approccio aforistico, con leggende a non finire dai contenuti di verità e saggezza, rimaneva valido e senza macchia. A partire dal XVII secolo, gli scienziati europei – anticipando in qualche modo e in embrione la potente ventata razionalistica e antropocentrica del positivismo illuminista, con il suo esaltato primato del sapere ragionato – cominciarono a mettere in dubbio l’esistenza dei draghi, pur senza escludere del tutto quella di creature straordinarie. La sola apertura a questa possibilità diede luogo allo sbizzarrirsi della fantasia di imbroglioni. Nei Paesi europei fecero così la loro comparsa finti draghi costruiti con frammenti di vari animali, come topi, pipistrelli e serpenti. Alcuni di questi falsi sono ancora oggi presenti in musei europei, come il Tirol Landesmuseum Ferdinandeum di Heidelberg, che conserva una “lingua di drago” montata in argento. Essa fu portata nel monastero di Wilten da un crociato di ritorno dalla Terra Santa, ed è in realtà un rostro di pescespada. Si tratta comunque del prosieguo di credenze medioevali, epoca in cui non era rara l’idea che i draghi esistessero veramente. D’altro canto, gli artisti medievali rappresentavano con tratti fantastici, sorti dalla loro immaginazione, anche animali reali ma esotici, per i cui ritratti – non essendo esso mai stati visti dal vivo – si basavano sulle menzioni della Bibbia e su descrizioni orali. Eppure, ancora nel XVII secolo non mancava chi continuava a sostenere ipotesi bollate in seguito dagli scienziati come fantastiche. Uno degli esempi più rappresentativi è il celebre testo, diffusissimo tra i suoi contemporanei, di Eberhard Werner Happel, pubblicato tra il 1683 e il 1691 col titolo Relationes Curiosoe; si trattava per l’appunto di una raccolta di curiosità, in cui facevano la loro comparsa anche testimonianze sui draghi. Tra le sue affermazioni più interessanti vi sono quelle sulle origini di queste creature. Ebbene, Happel, escludendo che simili creature possano nascere da animali comuni, per quanto incrociati, decide di rifarsi nientemeno che a una controversa teoria geologica della sua epoca, l’ “aura seminalis”, o “principio spermatico”. Con l’ispirazione di concetti come la “vis plastica” di Robert Plot e la “brezza seminale” di Karl Nikolaus Lang, il massimo assertore della “teoria spermatica” fu Edward Lhwyd(1660- 1709). Secondo questa teoria, losperma maschile di un animale poteva dare vita a una creatura, per quanto imperfetta, anche senza un utero femminile, bensì penetrando nella terra attraverso delle spaccature e ivi trovando il nutrimento necessario (“umidità salina di specie occulta”). È a questo punto che Happel intuisce come completare la propria elucubrazione: i draghi popolano luoghi remoti come le piaghe deserte, le caverne o i dirupi, luoghi che riescono a raggiungere solo aquile e altri uccelli da preda; qui essi portano le loro prede: altri uccelli, serpenti, agnelli, piccoli mammiferi, cani e persino bambini. I resti delle vittime marciscono nella terra, ma i loro semi vitali rimangono attivi e si uniscono tra loro e con quelli degli uccelli da preda. La creatura nata da questo miscuglio, attraverso quella che Happel chiamò “putrefazione fermentazionale”, non poteva che avere una fisionomia straordinaria, che mostrava le caratteristiche dei singoli animali genitori: testa e coda di serpente, ali di uccello o di pipistrello, orecchie di coniglio. Ma già prima di Eberhard Werner Happel gli scienziati europei si erano occupati dei draghi: nel 1608 il naturalista Edward Topsell li considerava dei rettili, dalle numerose somiglianze con i serpenti. E in tempi più recenti, Peter Karl van Esling, direttore nel secolo scorso dell’Hague Zoo, dichiarò di aver visto coi propri occhi un drago d’acqua, mentre nel 1860 si trovava in viaggio nell’Atlantico per raccogliere specie marine: «Di colore blu chiaro e argento, .. occhi enormi e pupille verticali… testa adorna di creste blu chiaro e verde .. , lungo circa sette metri». Anche l’epoca contemporanea presenta un certo numero di testimonianze e di appassionati, estrosi studiosi,come Volodimir Kapusianyk, inventore della “Draconologia”, Egli – che oggi, all’età di novantotto anni, risiede in una casa di riposo del Saskatchewan – afferma di aver visto l’ultimo drago esistente; si trovava in uno zoo viaggiante del Nebraska, era scarno, lungo a malapena due metri e mezzo e morì nel 1911. Kapusianyk si inserisce in una lunga teoria di descrizioni su una supposta fisionomia dei draghi.
Fisiologia del drago
Tra studi filologici, ipotesi pseudoscientifiche e voli pindarici, esce un ritratto del drago europeo assai variegato. Esistono infatti diverse razze di draghi occidentali, ciascuno con tratti propri ma con caratteristiche comuni. In molti testi sull’argomento il drago viene descritto come un rettile omeotermo. Secondo altri, invece, i draghi – proprio perché omeotermi – non sono rettili, non sono mammiferi perché covano uova e non producono latte, e non sono uccelli perché hanno scaglie e arti. Non resterebbe dunque che continuare ad attenersi alla coesistenza nel drago di caratteristiche di tutte queste specie. Il drago occidentale ha testa grossa, collo lungo, gambe sottili, coda massiccia e ali molto ampie. Queste, infatti, devono essere più larghe del corpo perché un drago possa avere la forza di sollevarsi e di volare. Sempre per facilitare il volo, le ossa dell’animale sono dure ma cave, il che – come negli uccelli – conferisce leggerezza al corpo. Il corpo del drago è coperto di piccole scaglie pentagonali dure e lucenti, grazie alla cheratina e a sostanze minerali (ferro soprattutto) di cui il corpo dell’animale è ricco. La funzione principale di queste escrescenze cornee è la protezione del corpo, ma ciò non toglie che esse siano ben articolate tra loro per agevolare i movimenti sinuosi. Poiché vanitoso, il drago è una creatura molto pulita e può rizzare le scaglie per pulirle, per sembrare più grande e incutere paura o per raffreddare la temperatura del corpo. I colori dei draghi sono estremamente vari e non uniformi, con prevalenza di tonalità di blu, rosso e verde. In alcune razze, in seguito a stati emotivi, le scaglie possono cambiare colore, grazie a una varietà di cromatina. Ma quando le scaglie stesse assumono una parvenza pallida e opaca, manifestano un chiaro segno di malattia. I draghi sono dotati degli stessi sensi degli uomini, solo molto più sviluppati. Grandi sono la loro intelligenza e la memoria, soprattutto nelle femmine, tanto che alcune di esse sarebbero state in grado di parlare e addirittura di intrattenere discussioni sofistiche, Secondo altri racconti, i draghi sanno compiere atti definiti magici, che in realtà sono usi della natura supernormali, consentiti dalla loro comprensione elevata del modo in cui agiscono gli elementi della natura. Così possono compiere prodigi come cambiare forma e dimensione, divenire invisibili o creare scudi di forza per proteggere i tesori ed effetti allucinatori indotti nei cacciatori di draghi. Tuttavia le due armi principali dei draghi europei sono gli artigli e soprattutto fuoco, ghiaccio o acido emessi dalle fauci. Nei draghi “sputafuoco” la fiamma tremenda deriva da una reazione chimica tra il gas metano creato dalla digestione degli alimenti e una piccola quantità di fosforo. Nei draghi “sputaghiaccio”, invece, residui alimentari danno luogo a un gas simile all’azoto, che viene compresso e raccolto nei polmoni e poi, tramite una decompressione repentina, espulso dal la bocca a basse temperature, Infine alcuni draghi possiedono un organo particolare che produce un acido altamente corrosivo, emesso dal drago con una potente espirazione.
La società dei draghi
I draghi sono monogami e si accoppiano con lo stesso partner per tutta la vita. Loro malgrado, in varie tradizioni l’evento dà spesso luogo a fenomeni atmosferici violenti, come piogge e allagamenti. L’incubazione delle uova di drago può durare migliaia di anni (sebbene per alcune specie minori bastino pochi anni) e anche il periodo necessario a diventare adulti e riproduttivi è molto lungo, fattore che rende i draghi ancora più suscettibili di estinzione. I draghi, però, muoiono raramente di vecchiaia: piuttosto per malattie, incidenti o azione di nemici, tra cui il primo è l’uomo. Un altro awersario importante dei draghi è il millepiedi, che risale le narici dell’animale fino ad arrivare all’encefalo, uccidendolo. Questi animali tendono a essere solitari per natura, ma non esitano a vivere, se necessario, in gruppo. Le loro tane sono poste in caverne naturali di pietra, oppure vengono scavate nella terra. Per questioni di riservatezza e protezione, la locazione ideale è sulle montagne, tra i picchi più inaccessibili, anche a costo di fare poi lunghi viaggi per procacciarsi il cibo. Del resto, le esigenze alimentari dei draghi europei si limitano a un pasto sostanzioso – bovini, ovini e anche esseri umani – al mese. Nella tana del drago si trovano interi tesori di gemme, che gli fanno da giaciglio e dalle cui proprietà magnetiche trae energia. Anche per questo esso ama molto l’arte e i preziosi – sopratt utto l’oro, l’argento, le perle e pietre come diamanti, coralli e giada. Secondo alcune tradizioni il drago è pure un abile intagliatore di gioielli, tanto da adornarsene o costruirvi interi palazzi sul fondo dei mari.
Quando il caos si fermerà ci renderemo conto di quanto poco abbiamo bisogno, di quanto in realtà abbiamo e del vero valore della connessione umana.